Domani iniziano i giorni della merla, gli ultimi tre del mese corrente,
quelli che, secondo la tradizione, coincidono con i più freddi
dell’anno. Sul perché della locuzione “giorni della merla” ci sono
diverse interpretazioni che fanno riferimento al pennuto. La versione
più plausibile narra che una merla dalla piuma bianca, per ripararsi dal
freddo di gennaio, si rifugiò in un camino, divenendo nera. Noi invece,
oltre a coperte, camini, alcool, potremmo affidarci a strategie
culinarie per raggirare i giorni di freddo più intenso. E cosa c’è di
meglio di una scottante e consolatoria zuppa?
Ricordandovi che c’è stato un tempo i cui i nostri antenati facevano di necessità virtù, sopportando gli inverni più infimi con piatti poveri, caldi e nutrienti, per omaggiare la loro saggezza contadina, ho scovato una lista regionale di minestre in brodo, come le chiamava il buon Artusi. Non solo non sono insipide, come qualche miscredente insinua, ma arricchiscono il nostro palato di gusto, calore e sostanza. Provare per credere!
Ricordandovi che c’è stato un tempo i cui i nostri antenati facevano di necessità virtù, sopportando gli inverni più infimi con piatti poveri, caldi e nutrienti, per omaggiare la loro saggezza contadina, ho scovato una lista regionale di minestre in brodo, come le chiamava il buon Artusi. Non solo non sono insipide, come qualche miscredente insinua, ma arricchiscono il nostro palato di gusto, calore e sostanza. Provare per credere!

Inauguriamo la serie con una ricetta proveniente dall’isola più lontana
dello stivale: la Sardegna, terra di pane carasau, pesce fresco,
deliziosi pecorini, ottima carne e grandi tradizioni gastronomiche.
La suppa cuata, originaria della Gallura, la zona nord-orientale, è un classico della cucina sarda. Si prepara con strati di pane raffermo bagnati con brodo di carne vaccina e di pecora, alternati con formaggio fresco di vacca (casgiu spiattatu), cui si può (deve) aggiungere del pecorino stagionato.
La suppa cuata, originaria della Gallura, la zona nord-orientale, è un classico della cucina sarda. Si prepara con strati di pane raffermo bagnati con brodo di carne vaccina e di pecora, alternati con formaggio fresco di vacca (casgiu spiattatu), cui si può (deve) aggiungere del pecorino stagionato.

Un piatto arcaico della cucina popolare siciliana, conosciuto persino
ai Romani. Si presenta come una purea di fave (consiglio quelle di Leonforte
per non tradire l’origine della ricetta), ottenuta dalla lenta
bollitura e successiva frullatura di quelle secche cui si aggiungono
della cipolla, del pomodoro, verdura fresca (erbe di campo, bietole,
cicorie), del finocchietto selvatico per aromatizzare e della pasta
spezzata per renderla più densa. Olio a crudo, sale, pepe o peperoncino
per condire.

Avete presente la soupe d’oignons francese? Una zuppa di
cipolle, preparata con burro, pepe, farina, brodo, arricchita di
crostini di pane e formaggio e messa a gratinare nel forno. Forse non
tutti sanno che ne esiste una versione nazionale, proveniente dall’alto
cosentino. La zuppa calabra si chiama Licurdia ed è fatta con il fiore
all’occhiello di questa terra, la cipolla rossa di Tropea. Viene servita
in una terrina, sormontata da dei crostini di pane, spolverati da cacio
ricotta e peperoncino.

E’ una delle ricette che identifica la cucina toscana, la Ribollita
si presenta come un minestrone di verdure, ortaggi, legumi e pane
raffermo. E’ un piatto di umili origini, lo si deduce già dal nome che
fa riferimento all’uso contadino di prepararla con verdure avanzate e
all’abitudine di ribollirla anche nei giorni successivi alla
realizzazione. Ogni zona ha la sua variante, ma una ribollita, per
essere “autentica” deve contenere almeno il cavolo nero e la verza come
verdure e i fagioli come legume.

Il pancotto
è uno dei piatti della cucina povera più diffuso per due motivi:
consente di non buttare via niente ed è un ottimo rimedio contro il
freddo invernale. Pane raffermo, acqua e olio extravergine d’oliva alla
base, poi le varianti sono molte, dai tocchetti di prosciutto o
guanciale o speck, alle erbe di campo, al parmigiano. La ricetta
romagnola è un omaggio ai tempi in cui si mangiava veramente pane e
acqua che sono gli unici ingredienti di questa zuppa, insieme all’olio
con cui viene condita.

Il lesso di verdure è un classico della cucina italiana. Semplice, si
prepara con legumi, verdure e ortaggi di stagione. Carote, patate,
sedano e cipolla non possono mancare come ingredienti, il resto è
dettato dalla fantasia. Tra le varianti, merita di essere citata quella
alla genovese che vede il piatto impreziosito da una cucchiaiata di
pesto in superficie, tocco che dona un profumo inconfondibile. Si può
arricchire con dei carboidrati: dai crostini di pane, al riso, alla
pastina. Freddo, può essere il condimento ideale per il cous cous.

Pane raffermo, brodo di carne, uova, grana e burro: pochi ingredienti
che fanno intuire l’origine umile di questa ricetta della cucina pavese.
Si prepara con dei crostoni di pane abbrustoliti nel burro e dagiati su
una terrina. Sul pane vengono rotte le uova, il cui tuorlo che deve
restare integro, va bagnato con il brodo e cosparso di grana. Il
risultato è un piatto all’insegna della semplicità, dall’alto contenuto
calorico che riesce a sfamare senza tradire il gusto e a essere
replicabile da tutti.

Esistono tante varianti di questa zuppa che io attribuisco al Trentino
perché è nella Val di Non che l’ho assaggiata, ma la cui diffusione in
realtà è tale che limitarla a una sola regione sarebbe intellettualmente
disonesto. I protagonisti principali sono l’orzo perlato e i ceci che,
inzuppati nel brodo, si possono combinare con diversi condimenti. Funghi
porcini e salsiccia è la versione più popolare, ma consiglio di
gustarla nature, preparata solo con orzo, ceci, carote, cipolla,
rosmarino, sale e olio. ( articolo di Cristina Rambola')
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